Cinema

Con i suoi occhi. In viaggio con un medico volontario

Con i suoi occhi. In viaggio con un medico volontario

Che cosa ci si aspetta quando si apre un libro di fotografie? Di vedere? Di osservare? Di guardare? Attività che normalmente ci costituiscono in quanto viventi; che non interrompiamo neanche quando chiudiamo gli occhi, neanche durante il sogno.
Eppure ci deve essere di più, altrimenti non si comprende come mai appena ci si immerge nel volume di Tano Siracusa -Con i suoi occhi- la nostra attenzione è catturata, la nostra mano si ferma prima di girare la pagina, i nostri occhi fanno di più: scrutano, persino oltre la foto come se essa continuasse in un dove tutto nostro che trasforma l’immagine in fotogramma e il fotogramma in pellicola e la realtà ritratta in una visione in movimento che esiste a partire da noi e in noi e che non possiamo condividere con nessuno, pur se insieme agli altri vi siamo immersi.
Non serve star di fronte a qualcosa o a qualcuno per vedere, per osservare, per guardare. Non possiamo neppure esimerci dal farlo. Subiamo il mondo che in noi si costruisce in immagine e che inevitabilmente diventa la nostra personale e intima realtà: quel mondo che alla nostra morte non si altera ma cessa, per dirla con Wittgenstein. Vi siamo costantemente immersi e non possiamo sottrarci. Questo stato, proprio dell’essere umano, in filosofia si chiama sintesi passiva e avviene senza la partecipazione della soggettività che però è pensata, esiste, grazie alla percezione della separazione, della differenza, che la sintesi passiva opera in noi. Il mondo che ci tempesta, che ci assilla, che s’impone, che ci abbraccia, che ci sommerge si traduce non soltanto in immagine ma anche nell’altro da noi. Ci permette di crederci, prima ancora che parte di esso, un io separato, una soggettività irripetibile, una realtà altra rispetto a quella che ci sta di fronte anche quando i nostri occhi sono chiusi. Eppure quello è il nostro mondo e tale diviene perché come sostiene il filosofo Alberto Giovanni Biuso l’uomo è un dispositivo semantico. A questa passività inalienabile corrisponde, infatti, un’attività altrettanto inalienabile: la costante interpretazione di ogni percezione, di ogni sensazione, di ogni visione. L’una non può esistere senza l’altra. Il pensiero filtra ogni dato, la posizione del nostro corpo influisce sulla sintesi passiva, il nostro vissuto determina il tempo nel quale siamo e che diventiamo. Vedere, guardare, osservare sono dunque attività umane e soggettive ma, quando esse sono indirizzate, il nostro punto di vista sul mondo cambia e modificandosi ci modifica.
Ecco a che livello operano le fotografie di Siracusa: sul versante della sintesi attiva. Gli enti sembrano divenire altro dalla percezione quotidiana che ne abbiamo, dall’indifferenza nella quale facciamo naufragare istante per istante cose e viventi, dal semplice loro sussistere che nolenti o volenti ci colpisce. La realtà è ricostruita. Il mondo non è più subìto. Vediamo, guardiamo e osserviamo con i suoi occhi.
Di nuovo la domanda iniziale: che cosa ci si aspetta quando si apre un libro di fotografie? La risposta sta nel volume di Siracusa. Un semplice reportage all’apparenza, che nasce dalla decisione di seguire un medico volontario in giro per il mondo, in villaggi sconosciuti, distanti persino nel tempo che sembra essersi fermato o dilatato, come scrive Siracusa, in una «tranquilla sovrabbondanza» che però «è vuoto, è noia» (Isole Solomon, novembre 2010). E quel medico rimane l’anonimo volontario che si sottrae ai ringraziamenti, alle lodi, agli elogi. Non sappiamo com’è, immaginiamo che cosa fa. E gli Arawete, i quattrocento indios «raccolti in tre villaggi lungo il fiume Xiungu» (Brasile, maggio 2000) pur vedendolo, pur ricevendo le sue cure e il suo tempo e la sua fatica, non lo ringraziano, «se vieni a trovarci, dicono, è perché a te piace farlo» (Ibidem). Un altro modo di essere, di stare, di sentire, di valutare, di vivere e di esistere. Più autentico? Più disperato? E Siracusa ci trascina insieme con lui, come gli uomini-taxi ad Antsirabe «a piedi nudi […] trascinano sui risciò i passeggeri» (Madagascar, aprile 2009). Diventiamo il suo obbiettivo mentre Tano concilia «giuste congiunzioni, una musica di idee, la vampa» per dar luogo al «parto dell’armonia» (W. Stevens, Studio di Immagini II); ci poniamo dal suo punto di vista mentre vede, guarda e osserva con gli occhi di quel medico. Non possiamo farci scivolare addosso le immagini perché hanno la potenza di attraversarci facendo emergere tutta la contraddizione di quei luoghi, di quel vivere, di quello spazio-tempo così diverso. E gli opposti convivono: paradiso e inferno; ricchezza e povertà, modernità e arretratezza, caos e deserto, sacro e profano, sofferenza e gioia, identità e differenza. In quei mondi «sembra dominare un diverso equilibrio fra epoche e forme di vita fra loro molto lontane» (Mongolia, settembre 2010). Come riescono le fotografie di Siracusa a rendere possibile tutto questo? Come è possibile, per dirla con Piergiorgio Branzi, che ogni immagine diventi «una staffilata sulla nostra sensibilità»? Come è possibile che Siracusa riesca a coniugare l’inquietudine -è ancora Branzi a farcelo notare- con quella «grazia particolare», «quel tocco vellutato, morbido e sicuro» (Prefazione) di cui invece ci parla Giuseppe Burgio? Nessuna delle fotografie è scioccante, nessuna di esse è didascalica, nessuna si prefigge lo scopo di indicare. Eppure ci attraversano, non scorrono semplicemente sotto i nostri occhi, perché la cifra di queste fotografie è la bellezza. Altra contraddizione. Le fotografie di Siracusa sono belle e lo sono perché della sofferenza, della povertà, dell’arretratezza, della malattia, della bruttezza dicono l’ineffabile; della comunità, dei paesaggi, delle azioni, degli sguardi, dei particolari, delle cose dicono l’invisibile. Siracusa non ci presenta il vero, ma piuttosto ciò che il vero non sarebbe in grado di dire.
E così apre una finestra sul mondo che ci consente di vedere, guardare, osservare dal punto di vista di chi ha visto, guardato e osservato, consapevoli –adesso- che nessuna immagine si subisce senza un’intrinseca attività ermeneutica. Il dono che riceviamo da narratori e artisti non consiste soltanto nel lasciare a noi, che siamo i destinatari delle loro opere, questo ruolo interpretativo ma nel promuoverlo o smuoverlo dalla fissità, imposta da un tempo che mortifica le qualità umane. E affinché di regalo si possa parlare nel fotografico, occorre che si sia davvero di fronte a una fotografia e non semplicemente a un’immagine; è necessario che essa superi il suo contenuto, che lasci a noi la decodifica, che non ci distragga strumentalizzando l’evento, che non sia didascalica, che conservi sempre un margine in cui sia possibile cogliere altro -di noi, dell’alterità, degli enti-, che sia in essa sempre presente, insomma, una sorta di incompiutezza che tocca a noi de-terminare. Ecco perché nel volume di Siracusa non ci sono immagini ma fotografie.
In un mondo in cui il livello tecnologico raggiunto ha viziato il nostro occhio corrompendolo, in cui il bombardamento di immagini riduce il nostro livello di capacità critica, in cui la televisione impedisce la promozione di una cultura del visuale, fotografi come Tano Siracusa non assolvono soltanto a una funzione sociale o etica, giammai a un divertissement, ma primariamente a una funzione politica. Non ci dicono dove guardare ma come guardare, non ci dicono cosa fare ma che è necessario fare, non ci dicono qual è la realtà ma che ogni realtà è tale a partire da noi, non ci dicono che anneghiamo nei fatti ma che viviamo di interpretazioni. Sta a noi lasciare agli altri questo ruolo ermeneutico o riappropriarcene. La soggettività universale che fa degli occhi del medico gli occhi di Siracusa e degli occhi di Siracusa i nostri occhi è la grande nave dell’umana solidarietà in cui ognuno è attore, ognuno è costruttore di significati. Tano Siracusa non è un fotogiornalista, è un novelliere, è un narratore, è un artista fenomenologo, che maneggia il vero con il bello, fedele alla terra e figlio del suo tempo.

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Tano Siracusa
Con i suoi occhi. In viaggio con un medico volontario
Prefazioni di P. Branzi e G. Burgio
Polyorama
Grotte (Ag) 2011
Pagine 198

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Didascalie foto:
1-2-3: Madagascar, 2010
4-5-6: Mongolia, 2010
7-8-9: Amazzonia Brasiliana, 2010
10-11-12: Isole Solomon, Guadalcanal, 2010
www.tanosiracusa.it/

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